Approfondimenti
Fondamenti
1. Un leader non può più controllare
Charlene Li nel volume Open Leadership indica (2010, p.8) “the biggest indicator of success as been an open mindset – the ability of leaders to let go of control at the right time, in the right place, and in the right amount”. L’idea di un passaggio dallo Scientific Management allo Humanistic Managament viene ampiamente sostenuto da Minghetti ne L’Intelligenza Collaborativa (2013).
2. I collaboratori controllano, i clienti controllano
3. Un leader crea le condizioni perché altri controllino
4. Un leader deve smettere di pensare alla sua leadership. Non deve pensare ai suoi talenti, alla lista delle virtù alla moda.
Il contributo di J. Rost sulla leadership mette in primo piano la dimensione del tutto anticarismatica della leadership in Rete.
Rost afferma
• Don’t train people to think of leadership as good management so that everything a good manager does is leadership.
• Get rid of the notion that leadership is only what works, that leadership is always a successful process, that leadership is high performance…
• Train people to think about the process that leadership is.
• Train people to think of leadership as a specific relationship of people planning a mutually agreeable, real change.
• Have people list the leadership relationships in which they have been participating during a 12 or 24-month period.
http://bit.ly/1eQUrLK
Autenticità. Trasparenza prospettiva morale
5. L’obbligo che un leader ha è di essere se stesso e non imitare altri. Questa è una finalità come essere umanoe non solo come leader
Avolio nel 2007 ha individuato nella Authentic Leadership una strada evolutiva della ethical leadership. Parte dal significato della parola greca ovvero “essere vero verso se stessi”. Gli Authentic Leader esibiscono trasparenza verso gli altri condividendo le informazioni, dando feed back. Un test elaborato sulla AL ha individuato alcune dimensioni: autoconsapevolezza della propria leadership, trasparenza, prospettiva morale
(Bruce J. Avolio, William L. Gardner, “Authentic leadership development: Getting to the root of positive forms of leadership”, The Leadership Quarterly 16 (2005) 315–338).
Gli approcci psicodinamici alla leadership come quelli proposti presso le Tavistock Conference hanno la finalità di far raggiungere agli individui un maggiore livello di consapevolezza circa le dinamiche che si attivano nel proprio mondo interno con riferimento al tema dell’Autorità.
Le conference sono una “isola sociale” (Miller, 1989) che consentono ai partecipanti di mettere in discussione assunti consolidati e
guadagnare nuovi spazi di autenticità.
6. La leadership è un processo. La leadership è relazione
“La leadership è una funzione di gruppo cioè un fenomeno che esiste in quanto esiste un gruppo ed è un sentimento di gruppo… La leadership è in definitiva un sintomo di un tentativo di dare ordine alla rete delle relazioni interumane di influenzamento, denominate appunto potere, cioè capacità di generare o impedire cambiamenti. In questo va interpretata, evitando di confonderla con il comando. In questo senso va misurata e gestita facendo in modo di considerarla una risorsa di gruppo e quindi una variabile a disposizione del gruppo e non padrona del gruppo stesso… una leadership ha il fine di aumentare l’efficienza del gruppo stesso e quindi non è il gruppo a disposizione del leader, ma il leader a disposizione del gruppo” (Spaltro E., Pluralità, 1993, p. 198)
7. La leadership è reciprocità. Se un leader vuole influenzare deve accettare di essere influenzato
Poiché il gruppo è un campo di forze (Lewin K., Principi di psicologia topologica, 1961) in equilibrio dinamico, si trova in una situazione turbolenta in continua evoluzione. Le tensioni tra forze fanno del gruppo uno spazio tempo di diversità in movimento. Per tale motivo il potere nel gruppo si pone come influenzamento ovvero tendenza delle regioni del campo ad allargare lo spazio. Secondo tale logica l’esercizio del potere avviene solo attraverso il mantenimento di equilibri che implicano la reciprocità. La perdita di reciprocità comporta l’instaurarsi di relazioni violente.
8. La leadership è servizio: ai clienti, ai collaboratori, alla comunità. Per tale motivo i suoi valori guida sono: l’onestà, la condivisione del potere, la trasparenza
Servant leadership Robert Greenleaf negli anni 70 (The servant as leader, 1982), ha introdotto la concezione di una Leadership che è di servizio. Le caratteristiche sono tre 1) integrità 2) servizio senza porsi in primo piano 3) condivisione del potere
Brown et al. Ethical leadership “the demonstration of normatively appropriate conduct through personal actors and interpersonal relationships, and the promotion of such conduct to followers through two way comunication reinforcement, and decision making” (p.120). Leader etici sono onesti si fanno carico degli individui e usano adeguatamente premi e punizioni per rinforzare le dimensioni etiche. L’etichal leadership è correlata a tre dimensioni principali che sono fairness (agire onestamente) power sharing (condividere il potere) e role clarification (comunicare il ruolo con trasparenza) (De Hoogh & Den Hartog, 2008). Altri studi di Kalshoven (2011) hanno indicato che vi sono altre 4 dimensione della EL: people orientation, ethical guidance, integrity e concern for sustainability.
9. La fiducia è il motore delle relazioni nei sistemi aperti, sia dentro alle aziende che sui mercati attraverso il consumo collaborativo
L’open leader ha una visione ottimistica delle altre persone e tende a fidarsi di esse. Tale positività si esprime in curiosità e umiltà nella relazione con l’altro. La fiducia significa sapere che i collaboratori si controllerano.
John Shook Senior Advisor del Lean Enterprise Institute sostiene che il leader in Toyota “1) Get each person to take initiative to solve problems and improve his or her job 2) Ensure that each person’s job is alligned to provide value for the customer and prosperity for the company”
Molti studi indicano nella fiducia il concetto fondamentale attorno al quale si muove la knowledge society. Il concetto viene sviluppato adeguatamente nella letteratura sul capitale sociale http://bit.ly/YIhn, http://bit.ly/184ANa1
Sul consumo collaborativo si veda Rachel Botsman esperta di condivisione di automobili, appartamenti, talenti nella nuova economia fondata sul capitale reputazionale http://bit.ly/ThOVd8
Sulla fiducia si veda Li C., Open leadership, p. 165-170.
10.Il leader costruisce relazioni all’insegna del rispetto
Uno degli aspetti fondativi del metodo Toyota è il rispetto. Significa farsi carico dei problemi dell’altro e creare condizioni di reciproca fiducia. Il nucleo originario del concetto fa riferimento al riconoscimento di un potere, di un’autorità, di una forza o di un valore superiori. Si traduce nei comportamenti quotidiani, da parte della leadership nello sfuggire alla tentazione di esercitare dominio (codice verticale potente/potuto) e nell’instaurazione di una relazione tra pari reciprocamente influenzanti.
Downie R., Telfer E., Respect for persons, Allen & Unwin, London 1969. Monden Y., Toyota production system: an integrated approach to just-in-time, 2012. Si veda anche Sennet R., Respect in a word of inequality, 2003
11.Il leader sa interpretare il ruolo di catalizzatore. Non è il solo protagonista. Svolge una funzione di ispirazione, allineamento e supporto ai colleghi
Il tema del leader catalizzatore è stato trattato da Brafman e Beckstrom in The starfish and the Spider (2008). Il leader catalizzatore non è il protagonista del cambiamento. Sa svolgere un ruolo di secondo piano. Facilita le relazioni, ispira, dà fiducia. In questo mondo rende possibile la collaborazione che produce risultati eccellenti. Con un’altra metafora il leader è in grado di favorire la condensazione di un sistema che se mantenuto allo stato liquido (Bauman) produce disorientamento e non realizza il compito. L’eccesso di fluidità si ha negli stati caotici in cui l’entropia diventa molto elevata. Il tema viene anche ripreso da Li (2010, op. cit. )
P2P. Nella Rete contano le relazioni di scambio tra pari non mediate da una gerarchia
12.I leader non devono pensare ai propri collaboratori come i genitori pensano ai figli (con una relazione top/down)
Michel Bauwens nel volume P2P and Human evolution (2005), introduce il concetto dell’Equipotenza nelle pratiche emergenti dello scambio di conoscenza. Non ci sono regole per partecipare e la convalida è un processo comunitario intersoggettivo. Infatti nella Rete i contenuti di valore sono riconosciuti come tali dalla comunità e valutati attraverso rating (ad esempio i voti che ricevono i post sui blog).
Interessante è osservare inoltre che le organizzazioni sono storicamente costruite considerando codici affettivi di tipo verticale.
Ispirata ai codici Paterno e Materno (Fornari F., Frontori L., Riva Crugnola C., Psicoanalisi in ospedale – Nascita e affetti nell’istituzione, Cortina, Milano, 1985; Bellotto M. Trentini G., Culture organizzative e formazione, Franco Angeli, Milano, 1991) la leadership primariamente si riferisce ai rapporti tra capi e collaboratori. Ma esiste un altro tipo di leadership che non va dimentica ed è quella tra pari. Pari nel senso che non esiste un principio naturale determinante come la genitorialità e la gerarchia a connotare la differenza psichica e sociale tra le persone. Nelle organizzazioni che evolvono si chiede ai capi di mettersi in discussione e di accettare anche relazioni di parità coi collaboratori per favorire l’innovazione e la qualità del servizio. Per tale motivo il codice affettivo che va applicato in azienda in questo caso è quello dei fratelli.
Bruttini P. (a cura di), Città dei capi, Ipsoa, Milano, 2014
13.I leader non devono pensare ai propri capi come i figli pensano ai genitori (con una relazione bottom/up)
14.La leadership nelle imprese contemporanee si basa anche su relazioni tra pari e non solo su relazioni asimmetriche (top/down, bottom/up)
I leader non devono dare per scontato d’avere l’ultima parola. I collaboratori pensano che il leader “non ha sempre ragione”.
Conflitto in presenza di ambiguità crescente
15.La leadership accetta l’ambiguità e la trasforma in conflitto generativo
L’aumento dell’ambiguità ha due diversi esiti. Da un lato l’assenza di definizione e dialettica tra opposti, porta ad una situazione magmatica e senza possibilità evolutive. Dall’altro non sostenere l’ambiguità determina l’amplificazione dello scontro con l’altro senza accedere alla dimensione generativa che accettare la diversità rende possibile.
La negazione del futuro promesso dalla cultura occidentale (Benasayag M., Smith G., Le passions tristes, 2003) ha prodotto l’ideologia della crisi. È un’ideologia dell’emergenza permanente che si instaura in un contesto avvertito come minacciante. La scarsa capacità degli essere umani di sostenere le situazioni di emergenza e di pericolo (Morelli U., Conflitto, 2006) amplifica i comportamenti aggressivi e conflittuali. Si sono sviluppate per tale motivo in questi anni gli studi sulla gestione del conflitto e le dinamiche negoziali. Tra i principali autori si veda Galtung J., Transcend & Transform: An Introduction to Conflict Work, London, Pluto Press and Boulder, 2004
16.I conflitti possono essere affrontati attraverso la negoziazione e la mediazione. La leadership contemporanea deve negoziare, molto più che comandare
L’applicazione integrale e reciproca della teoria dei giochi renderebbe qualunque negoziazione una relazione dall’esito scontato. L’applicazione delle teorie win to win (collaborazione e fiducia) nel lungo periodo produce esiti positivi. Tuttavia occasionali comportamenti competitivi avvantaggiano nel breve periodo una sola parte. Questa determina la necessità di instaurare rapporti negoziali.
William Ury, Roger Fisher and Bruce Patton, Getting to Yes: Negotiating Agreement Without Giving in, Revised 2nd edition, Penguin USA, 1991
Agile. Una nuova cultura all’insegna della auto-organizzazione, trasparenza e coinvolgimento del cliente
17.Il leader lavora in modo agile. Deve adattarsi a un contesto che muta continuamente.Favorisce la semplicità, la flessibilità, la produzione di valore concreto per il cliente
Agile software development è un insieme di metodologie di sviluppo software che favoriscono la semplicità, l’auto-organizzazione e la collaborazione con il cliente. Si tratta di una metodologia incrementale, leggera, da contrapporre alla metodologia tradizionale waterfall caratterizzata da regole rigide, pesanti limiti contrattuali, e in definitiva una contrapposizione tra il cliente ed il fornitore.
Una caratteristica fondamentale dei sistemi agili è la struttura auto-organizzativa dei team di lavoro (scrum) che, senza un coordinatore, decidono in autonomia. Una notevole differenza rispetto alle metodologie tradizionali in cui un project manager struttura le attività degli sviluppatori in sequenza.
I principi Agile, sono stati raccolti nell’Agile manifesto.
Auto-organizzazione. Al di là del comando si genera valore lasciando le persone libere di auto gestirsi.
18.Il leader supporta i collaboratori nello sviluppo di processi auto-organizzativi. Tale supporto si esprime 1) come definizione di linee guida nella fase di impostazione 2) come astinenza nelle fasi successive.
L’auto-organizzazione in azienda ha l’obiettivo di valorizzare le differenze reciproche tra gli elementi al fine di
raggiungere un’alta integrazione. Si tratta di un processo caratteristico dei sistemi in fase di transizione. Gli eventi si distribuiscono non più secondo la Gaussiana, ma secondo le leggi di potenza (Barabasi L., Bursts. The hidden pattern behind everything we do, Plume, 2010) Specie nelle situazioni di start up, prima che emerga un modello organizzativo nuovo in grado di dare senso allo stratificarsi delle azioni, il sistema vive il caos. Si tratta di un caos che viene contaminato da processi auto-organizzativi. Le persone senza direttive chiare trovano degli equilibri che in definitiva sono sub ottimali, ma efficaci. Questa modalità consente inoltre il riconoscimento e la valorizzazione delle risorse utili per il perseguimento dell’obiettivo.
Si ha auto-organizzazione in presenza di un grande numero di alternative e bassa prevedibilità. A.O. è la capacità di dare risposte senza nessun coordinamento. Ciò è possibile se il sistema trova un equilibrio tra collaborazione e competizione. Nelle organizzazioni consolidate il leader deve creare le condizioni per cui i processi auto-organizzativi si sviluppino. Un sistema lasciato a se stesso produce malessere e rabbia verso la leadership. Quest’ultima deve sapersi trasformare nelle fasi più mature in astinenza, una modalità relazionale caratterizzata da empatia, contenimento, timing, tolleranza dell’ambiguità (AA.VV., Glossario di psicoterapia progettuale,
1990). La partecipazione è il modo non solo di aumentare il commitment, ma anche per rendere l’organizzazione più complessa quindi più reattiva gli stimoli.
Nel modello tradizionale noi abbiamo: molte regole (complicazione) – organizzazione semplificata (cioè disambiguata attraverso le regole) – risposte semplici (adattamento, bassa sensibilità).
Nel modello complesso abbiamo: partecipazione (che richiede poche regole) – organizzazione complessa (molti decisori, molte informazioni, molti valori, conflitti aperti) – risposte complesse (coevoluzione, visione aperta, alta sensibilità)
Questo dà valore all’intelligenza distribuita.
De Toni A., Comello L., Ioan L. (2011), Auto-organizzazioni, Marsilio, Venezia, 2011
Engagement
19.E’ fondamentale che i collaboratori siano ingaggiati
Un tema tra i più significativi degli ultimi anni in un mondo in cui tramontano le grandi certezze su modelli e valori ormai non più attuali (la scientificità nell’ organizzazione del lavoro, la superiorità della manifattura, la crescita continua…)
I collaboratori ingaggiati esprimono loro stessi fisicamente, cognitivamente, emotivamente nella performance connessa al ruolo. Spesso l’engagement, è indicato dalla proattività, dall’iniziativa personale. In generale comunque le persone ingaggiate hanno fiducia in sé, motivazione, soddisfazione nel lavoro, commitment e performance
20. L’engagement dei collaboratori è possibile se il leader è interessato al loro lavoro, se è accessibile, se dà loro potere, se incoraggia domande
Alimo-Metcalfe & Alban-Metcalfe, hanno sviluppato nel 2001 un questionario per la misura della Engaging trasformational leadership, nella filone della leadership trasformazionale, articolato su 14 scale.
Le dimensioni individuate sono Engaging individuals (Showing genuine concern, Being accessibile, Enabling, Encouraging questioning) Engaging the organization (Supporting a developmental culture, Inspiring others, Being decisive, Focusing team effort) Engaging stakehoders (Building shared vision, Networking, Resolving complex problems, Facilitating change sensitively) Personal qualities (Being honest and consistent, Acting with integrity). La Engaging leadership è collegata all’altro filone emergente della Distributed Leadership (Spillane J.P., Distributed Leadership, 2006, Jossey-Bass). La DL (altresì definita come shared, collaborative, post heroic, leaderless) indica il processo (o l’architettura organizzativa) di conduzione di un sistema senza ruoli gerarchici, attraverso l’esercizio distribuito della leadership. Ciò presuppone un alto engagement dei collaboratori affinché si attivino dinamiche di responsabilizzazione. Le condizioni che consentono l’engagement ed il benessere dei collaboratori sono individuate da alcuni autori attraverso il concetto di capitale sociale.
21.Il leader attribuisce valore alla sua passione
Massimo Recalcati nel volume Cosa resta del padre? (2012), illustra un’idea emergente della paternità non più all’insegna del presidio della norma (attraverso il ruolo repressivo del padre rispetto al complesso di Edipo), ma della testimonianza della passione. Nei contesti frammentati e imprevedibili che abitiamo, probabilmente il capo non può più solo comandare e controllare, ma testimoniare ai suoi collaboratori la passione per un lavoro bene fatto. Non indicare il modo migliore (chi può farlo ormai?) ma testimoniare che una strada esiste e va ricercata.
Reputazione: In rete ognuno risponde della sua storia. Una storia aggiornata di cui rimane traccia nel tempo.
22.La reputazione è il capitale di credibilità e coerenza di cui dispone il leader
La reputazione è un potente sistema di controllo sociale. Si compone di due elementi fondamentali (Centro Studi Accademici sulla Reputazione, http://bit.ly/165ZujE)
trust: is about expectations of future behavior of the organization. This is a long term reputational component on which it is possibile to build stable relationships with stakeholders. It is based on actions and is very difficult to repeat; consequently it represents a solid competitive advantage;
emotional involvement: is about feelings like admiration and sympathy. It is a facilitator of relationship trust with the stakeholders, on which it is possible to intervene through symbolism and emotionality of communication, without necessarily producing deep long term effects.
Jackson, K.T. (2004). Building Reputational Capital: Strategies for Integrity and Fair Play that Improve the Bottom Line.
Klewes, Joachim and Wreschniok, Robert (2010). Reputation Capital: Building and Maintaining Trust in the 21st Century.
James M. Kouzes, Barry Z. Posner, Credibility: How Leaders Gain and Lose It, Why People Demand It, 2nd Edition, Jossey-Bass, 2011
Capitale sociale. Un patrimonio intangibile che fonda la fiducia e diminuisce i costi
23.Il leader costruisce capitale sociale attraverso la condivisione di una visione comune
Il tema della Vision è centrale nella concezione trasformazionale o carismatica della leadership (Bass, B.M., Leadership and Performance beyond Expectations, London. The Free Press, 1985; Bass, B.M., Transformational Leadership: Industrial, Military, and Educational Impact. Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum Associates,1998). Il leader articola la sua azione in 4 fasi la prima delle quali è l’influenza idealizzata: i leader influenzano i collaboratori attraverso l’ integrità personale, ispirando una visione eccitante che ottiene il rispetto e lo spirito d’imitazione da parte dei collaboratori. Per Natili (Natili F., Pasini E. Carisma, Garzanti, 2006) la vision ha una funzione di contenimento delle ansie generate dal processo di cambiamento.
24.Il capitale sociale è l’insieme di norme comportamentali di un sistema che minimizza i costi di transazione e massimizza la cooperazione tra soggetti. Non è localizzato né in individui, né in strutture fisiche di produzione
Nel classico saggio Making Democracy Work: Civic Traditions in Modern Italy (1993), Robert Putnam
utilizza tra i primi il termine capitale sociale, rispetto alla struttura sociale esistente nel settentrione d’Italia. In essa ravvisa “norms of generalized reciprocity and networks of civic engagement encourage social trust and cooperation because they reduce incentives to defect, reduce uncertainty, and provide models for future cooperation” (p. 177). Tra gli altri numerosi autori che affrontano il tema si distingue J. S. Coleman (Foundations of Social Theory, Westview Press, Boulder, 1990) capostipite dell’approccio microsociologico. Coleman declina il CS come reciprocità, potenziale informativo, norme e sanzioni condivise, l’organizzazione sociale che può generare finalità impreviste. Ronald Burt, legge il CS attraverso la teoria delle Reti ovvero come “un vantaggio creato dal modo in cui le persone sono tra loro connesse” (Burt R., Brokerage and closure: an introduction to social capital, Oxford University Press, New York, 2005). Don Cohen, Laurence Prusak autori di In Good Company: How Social Capital Makes Organizations Work, 2001 osservano che fiducia, visione condivisa e comune accordo connettono gli individui tra loro e rendono possibile il benessere comune.
25.Il leader favorisce lo sviluppo di capitale sociale di bonding e capitale sociale di bridging. Il capitale sociale di bonding rinforza l’identità dell’organizzazione. Il capitale sociale di bridging costruisce ponti tra entità diverse, all’insegna dell’integrazione delle diversità
Clay Shirky spiega in modo particolarmente efficace nel volume Here comes everybody, 2008 la distinzione tra capitale sociale di bonding e di bridging. Il primo è un aumento della profondità delle connessioni e nella fiducia di un gruppo relativamente omogeneo. Quello di bridging è una crescita nelle connessioni tra gruppi relativamente eterogenei. Facendo un esempio e pensando al prestare soldi a qualcuno, il bonding aumenta la cifra che siamo disponibili a prestare ad un gruppo stabile di persone, il bridging aumenta la lista delle persone a cui siamo disponibili a fare un prestito. Un’altra distinzione utile è quella tra Social broker e Boundary spanner. Il primo connette sistemi tra loro separati, lavorando sulla creazione di opportunità di conoscenza tra soggetti estranei. Il secondo è in grado di presidiare le conoscenze dei diversi sistemi, favorendo un punto di incontro disciplinare tra competenze differenti. La prima è una leadership che viene ritenuta “pericolosa” dai sistemi chiusi in quanto in grado di minare l’identità. In ogni caso estende la sua azione grazie alla propria presenza fisica. La seconda invece costruisce un ponte tra sistemi diversi e la sua azione si sviluppa anche in assenza fisica (Bauwens, Op. cit.)
Innovazione. In un mondo iper competitivo che consuma idee, prodotti e servizi, la capacita di innovare è fondamentale per sopravvivere.
26.Il capitale sociale è fondamentale per l’innovazione. Le innovazioni si sviluppano mettendo in connessione mondi con conoscenze diverse
Ronald Burt nel saggio Structural holes and good ideas 2004 analizza l’innovazione in una realtà hi tech. Osserva che la maggior parte delle buone idee arrivano da persone che coprono i buchi strutturali (structural hole) ovvero le cui relazioni sono costituite da persone che appartengono ad altri reparti.
27.Mantenere aperti i confini dell’azienda ed entrare in contatto con nuovi saperi aumenta il potenziale innovativo dell’impresa. L’innovazione può essere open nel senso che non nasce solo all’interno della funzione R&D
Chesbrough in Open Innovation (2003) costruisce un modello dell’innovazione aperto. Contro l’idea maestra che le conoscenze vanno generate e custodite con cura all’interno dell’azienda, emerge un filone che vede nell’apertura e nello scambio con l’esterno il motore fondamentale dell’innovazione.
28.La vera innovazione passa attraverso l’innovazione della cultura dell’impresa. La responsabilità della leadership è favorire la trasformazione culturale
Gary Hamel in The future of management 2007, indica nell’innovazione manageriale il quarto ed inimitabile livello di innovazione a cui è necessario accedere per acquisire un vantaggio competitivo duraturo. L’innovazione manageriale è sostanzialmente un’innovazione culturale che incorpora un modo diverso di pensare e realizzare il business.
Gestione dell’errore. Non può esserci innovazione se non si accettano gli errori.
29.Il mindset che rende possibile lo sviluppo dell’innovazione è la tolleranza dell’errore
Studiando la storia del pensiero scientifico si può scoprire che un grande numero delle principali innovazioni nasce per errore. Tanto per citarne alcune la penicillina, i raggi X, la dinamite, la radio.
Paul Ormerod (Why Most Things Fail: Evolution, Extinction and Economics, 2006) ha studiato i processi di estinzione delle specie
animali negli ultimi 550 milioni di anni, attraverso i reperti fossili.
Considerando il rapporto tra la dimensione di un processo di estinzione e la sua frequenza ha identificato la regola: se un’estinzione è due volte più grande allora è nove volte più rara. Successivamente ha studiato l’estinzione dei giganti industriali e ha scoperto che la regola è la stessa (ad esempio nel 1968 sono scomparsi 6 giganti). La legge ha lo stesso andamento considerando banche dati molto più grandi, ovvero la totalità delle piccole e medie imprese americane. Questa osservazione potrebbe condurre a ipotizzare l’irrilevanza delle capacità decisionali delle aziende rispetto alla probabilità di sopravvivenza (fare strategie non serve nel lungo periodo!). Più concretamente indica la rilevanza dei principi di sopravvivenza evoluzionistici per prosperare:
1. provare nuove cose sapendo che qualcuna fallirà
2. far sì che i fallimenti siano sostenibili perché saranno frequenti
3. rendersi conto di quando si è fallito
Il tema del fallimento è centrale anche in Li (Op. cit., p. 217-241).
La fiducia e la voglia di apprendere consentono di tollerare la frustrazione del fallimento.
30.Una visione strutturata, gruppi coesi e responsabilità chiare possono rendere difficile apprendere dai propri errori
Paradossalmente un’impresa ordinata tende a cancellare le idee che “escono dalle righe” oppure i feed back che sono scomodi perché rompono le routine ed il conformismo. Lo stesso modello di controllo preventivo (planning e budgeting) rende miopi rispetto alle novità impreviste. Si vedano al proposito Hartford T., Adapt, Sperling & Kupfer, 2011 Varanini F., Contro il management, Guerini, 2010
Intelligenza collettiva: Esiste un’intelligenza super individuale che si può attivare
31.La leadership favorisce l’intelligenza collettiva
Intervista a Pierre Levy http://bit.ly/1aBin2X, Che cos’è l’intelligenza collettiva? “In primo luogo bisogna riconoscere che l’intelligenza è distribuita dovunque c’è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l’una con l’altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l’intelligenza collettiva”.
32.L’intelligenza collettiva è il processo per mezzo del quale i gruppi si assumono la responsabilità delle loro sfide e della loro futura evoluzione, usando le risorse di tutti i loro membri in un modo tale che emerga un nuovo livello, con nuove qualità aggiunte
1. un tutto emergente che va al di là delle sue parti
2. l’esistenza di uno spazio “olottico”, che consente ai partecipanti di accedere sia a una conoscenza orizzontale
(relativa a quanto stanno facendo gli altri) sia a una conoscenza verticale (che, cioè, riguarda la totalità che si manifesta); per avere intelligenza collettiva, tutti i partecipanti devono avere questo accesso, dalla loro prospettiva particolare
3. un contratto sociale con norme sociali esplicite e implicite che regolamentano le forme di scambio, il fine comune ecc. ecc.
4. un’architettura polimorfa che consenta configurazioni cangianti
5. un «oggetto correlato» condiviso, che deve essere chiaro. Questo può essere oggetto di attrazione (la palla, negli sport), di repulsione (un nemico comune), oppure oggetto di creazione (uno scopo futuro, l’espressione artistica)
6. l’esistenza di un’organizzazione di apprendimento, dove sia gli individui sia il collettivo possano apprendere
dall’esperienza delle parti
7. un’economia del dono, nel senso che c’è una dinamica del dare in cambio di partecipazione ai benefici dell’orizzonte comune. (Bauwens, P2P and Human evolution, p.23)
Il Mit ha un vero e proprio centro per lo sviluppo dell’intelligenza collettiva – MIT Center for Collective Intelligence. Si veda il contributo di Malone ed altri Harnessing Crowds: Mapping the Genome of Collective Intelligence http://bit.ly/15e95d
Cooperazione: I comportamenti umani non sono solo competitivi. la solidarietà nel lungo periodo produce risultati migliori.
33.L’intelligenza collettiva è possibile perché gli essere umani sanno essere cooperativi
M.A. Nowak, ha approfondito in Supercooperators, 2011 i meccanismi cooperativi. in particolare lo studio sistematico del dilemma del prigioniero ha indicato che nel lungo periodo le strategie cooperative tendono a prevalere solo se si è disposti a tradire occasionalmente, in presenza di comportamenti non cooperativi dell’altra parte
34.La cooperazione nel lungo periodo aumenta le probabilità di sopravvivenza di un sistema
Cisco (2012) – The Collaboration Imperative: Executive Strategies for Unlocking Your Organization’s True Potential, disponibile all’indirizzo http://bit.ly/15ukO6H
Leader altamente collaborativi condividono questi tratti (pag 3/9)
1) Autenticità: i leader devono 1.1 lavorare seguendo il committement organizzativo e 1.2 in caso di conflitto si dedicano alla comunicazione anziché litigare per un decisione con i loro pari.
2) Trasparenza: i leader collaborativi spiegano le decisioni – C’è un collegamento tra agilità/resilenza di un gruppo e la sua trasparenza (Gary L. Nielson, Bruce A. Pasternack, and Karen E. Van Nuys, “The
Passive Aggressive Organization”, Harvard Business Review, October 2005). Se è chiaro 2.1 chi ha preso una decisione 2.2 chi risponde delle conseguenze 2.3 se tale responsabilità è reale, allora le persone impegnano meno tempo a domandarsi come e perché è stata presa una decisione.
Ulteriori elementi importanti sono:
3) è importante non solo condividere obiettivi ma anche risorse, ad esempio finanziarie. Le risorse sono strumenti di azione e non di possesso
4) codificare la relazione tra diritto di decidere, responsabilità e premi. Se il leader non è presente a responsabilizzare i collaboratori, il sistema deve comunque essere garantito.
Vedi anche AAVV. Del cooperare. Manifesto per una nuova economia, Apogeo, Milano, 2012
35.La competitività non è sempre contraria alla cooperazione. La caratteristica dei sistemi aperti è che si trovano frequentemente in situazione coopetitive (in cui cioè cooperazione e competizione convivono)
La cooperazione si realizza quando individui, gruppi o imprese interagiscono con una parziale coincidenza di obiettivi. Cooperano tuttavia con l’obiettivo di massimizzare il valore, e conseguire un vantaggio competitivo. Si tratta di un modello relazionale ad alto tasso di conflittualità latente, dominato da condizioni di incertezza. Si sviluppa positivamente se è alta la capacità delle controparti di dominare l’ansia e ragionare razionalmente.
Si vedano Nalebuff B.J., Brandenburger A.m., Coopetition, 1996; Dagnino G.B., Padula G., Coopetition strategy. A new kind of interfirm dynamics for value creation – http://bit.ly/xMTttL
Diversity: L’eterogeneità aumenta il caos, ma se è governata aumenta la probabilità di sopravvivenza.
36.I diversi approcci alla realizzazione di compiti e alla risoluzione di problemi possono coesistere (senza ostacolarsi l’un l’altro), imparando gli uni dagli altri. La diversità aumenta la probabilità di successo nel raggiungimento degli obiettivi e la scoperta di nuovi metodi di lavoro
La valorizzazione della diversità è una dimensione fondativa del team work. Un gruppo si costituisce come tale attraversando una percezione stereotipata del compito da parte dei suoi membri. L’integrazione degli stereotipi in uno schema comune consente al gruppo il raggiungimento dell’obiettivo e l’accesso ad una
fase progettuale (o di miglioramento). Pichon Riviere E., El proceso grupal, 1971
Il Diversity Management è una filosofia di gestione delle risorse umane che si concretizza in strumenti/azioni/progetti finalizzati a gestire e valorizzare le diversità individuali.
Open Organization Manifesto http://bit.ly/UCmgLo
Sense making Agire per dare senso. Ricostruire il senso di ciò che è avvenuto.
37.Il leader non deve dare per scontato che le persone capiscano qual è il senso di ciò che accade
Karl Weick nel fondativo lavoro Sense making (1993) ha illustrato la grande importanza dell’attribuzione di senso ad eventi complessi. Tale attività è determinante nei confronti di eventi mai verificatisi prima, dunque imprevedibili.
Il sense making viene spesso sviluppato attraverso lo story telling, un processo alternativo a quello paradigmatico (Bruner) nella costruzione della conoscenza.
38.Il leader è un sense maker: insieme ai collaboratori si impegna a dare senso al passato e a immaginare scenari futuri
Knowledge management. Nella knowledge economy lo sviluppo e lo scambio della conoscenza è fondamentale.
39.La leadership si occupa di generazione e sviluppo della conoscenza perché gli elementi intangibili sono molto più importanti per costruire il valore del prodotto e del servizio
Il tema del knowledge management è uno dei più frequentati nella letteratura manageriale
degli ultimi venti anni. Si veda per una rassegna ampia sugli approcci De Toni A.F., Fornasier A., Knowledge Management, Il sole 24 ore, 2012
Si veda il lavoro fondamentale di G. Simmel Knowing knowledge http://bit.ly/2mHgIp
40.La conoscenza prodotta da un’organizzazione, compresi i suoi dibattiti interni e gli insegnamenti tratti, deve essere registrata e conservata in archivi accessibili a tutti. Nel rispetto della proprietà intellettuale, la condivisione della conoscenza all’interno e all’esterno dell’organizzazione, produce beneficio per gli individui e la comunità
La concezione aperta della conoscenza elaborata all’interno della P2P Foundation ha portata alla stesura di questo importante punto all’interno dell’Open Organization Manifesto. Questo punto è stato da noi adattato pensando ai contesti manifatturieri ad esempio in cui la proprietà dei disegni e la copertura delle invenzioni con brevetti rappresenta l’unico modo per difendere la distintività competitiva delle aziende.
La cultura P2P ha proposto un sostanziale mutamento della concezione della proprietà intellettuale, in molti campi, da quello artistico a quello manifatturiero. Il successo di programmi di scambio P2P come Emule per la musica ed i video oppure le piattaforme come Innocentive per il match tra domanda ed offerta del lavoro intellettuale indicano nuove prospettive che stanno cambiando le vite degli individui e delle organizzazioni. In quest’ultimo caso la condivisione del know how aziendale almeno tra i dipendenti costituisce una dimensione evolutiva importante di molte imprese.
41.La leadership pone attenzione all’organizzazione della parte invisibile della conoscenza
Sulla spirale della conoscenza e la gestione della conoscenza si vedano i contributi fondativi di Nonaka I., Takeuchi H., The Knowledge Creating Company, University Press, Oxford 1995;
Sulle comunità di pratiche Wenger E. Communities of practice: learning, meaning and identity, Cambridge University Press, New York 1998 Questi contributi teorici si sono focalizzati sul rendere esplicita la conoscenza tacita presente in un sistema. I sistemi wiki come wikipedia nati con soluzioni open in realtà hanno un forte controllo centrale sulla coerenza formale delle informazioni e la loro attendibilità.
Questo determina un incremento della qualità della conoscenza, generando tuttavia un rallentamento della partecipazione contributiva.
42.Nelle situazioni in cui la conoscenza è fondamentale il modello della leadership verticale è inadeguato. Nei team con conoscenze molto diversificate funziona meglio la leadership circolante
Si veda Pearce, The future of leadership: Combining vertical and shared leadership to transform knowledge work http://bit.ly/1ghEgVw
43.Per favorire lo sviluppo della conoscenza il leader può assumere il ruolo di mentore o coach
Nella cultura Lean viene assegnato un ruolo particolarmente rilevante alla dimensione dell’apprendimento resa possibile dai Sensei, Senpai e Kōhai. Il Sensei è un maestro, profondo conoscitore della disciplina, a cui accostarsi con rispetto. Il Senpai invece è un Mentore, come uno studente junior potrebbe considerare uno studente senior. In Toyota si afferma “If the learner hasn’t learned, the teacher hasn’t taught”.
Anche nella cultura Agile ha un ruolo rilevante la dimensione culturale di presidio e trasferimento delle conoscenze e dei valori Agile. Questo ruolo viene interpretato principalmente dallo Scrum Master.
Alcune ricerche dimostrano che i manager low performer sono quelli che non sono capaci di sviluppare gli altri http://bit.ly/18QbJXh
Dunque anche l’insegnamento insieme alla negoziazione è la dimensione emergente della Open Leadership.
44.L’apprendimento è possibile attraverso il miglioramento continuo
Il miglioramento continuo è il principio base del metodo Toyota. Si articola in tre principi fondamentali
Challenge: Having a long term vision of the challenges one needs to face to realize one’s ambition (what we need to learn rather than what we want to do and then having the spirit to face that challenge). To do so, we have to challenge ourselves every day to see if we are achieving our goals.
Kaizen: Good enough never is, no process can ever be thought perfect, so operations must be improved continuously, striving for innovation and evolution.
Genchi Genbutsu: Going to the source to see the facts for oneself and make the right decisions, create consensus, and make sure goals are attained at the best possible speed.
Benessere: Non c’è più tempo di stare bene. Il Benessere va progettato.
45.La leadership lavora all’incremento del benessere perché le organizzazioni in cui si sta bene hanno performance superiori
Barbara Fredrickson (Fredrickson, B. L. & Joiner, T., Positive Emotions Trigger Upward Spirals Toward Emotional Well-Being. Psychological Science, March, vol. 13 no. 2, 2002, pp172-175 – http://1.usa.gov/17Y5Whn) ha approfondito l’effetto delle emozioni positive al lavoro. Ne ha derivato un modello a spirale crescente (Broaden and Build Theory), che illustra come gioia, felicità, serenità, che possono essere definiti gli atomi del benessere, determinino l’incremento delle funzionalità cognitive del singolo lavoratore.
Portano ad un aumento della sua resilienza ovvero la capacità dell’uomo di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzato e addirittura trasformato positivamente. Secondo la studiosa lo stato di benessere incide sulla capacità della singola persona di cogliere più finemente gli aspetti della realtà in cui è inserita. Benessere si traduce dunque in uno stato mentale di attivazione che rende la persona più predisposta a rispondere in modo efficace agli stimoli ambientali.
Potere sostenibile
46.Il leader assume un atteggiamento critico rispetto ai modelli contemporanei di produzione del valore, ne coglie le contraddizioni e ricerca delle soluzioni sostenibili per sé ed il proprio gruppo di riferimento
La prospettiva teorica a cui è possibile fare riferimento è quella dei Critical Management Studies (CMS).
Critical Management Studies (CMS) rappresentano un approccio alternativo al mainstream delle scuole di business di tradizione americana. I fondamenti filosofici dei CSM sono la teoria critica (scuola di Francoforte) e il post-strutturalismo francese (Michel Foucault, Jacques Derrida and Gilles Deleuze), il femminismo, la queer theory, i post-colonial studies, la tradizione anarchica, il marxismo, il pensiero ecologico (si veda per una rassegna i lavori di Alvesson and Willmott, 1992, 2003).
Oltre ai contributi di queste tradizioni intellettuali, nell’esperienza comune di molti lavoratori e manager vi è distanza con il dichiarato delle teorie manageriali mainstream. Da qui l’esigenza di riconnettere la prassi che nasce sul campo con una visione più ampia di natura sociologica e filosofica.
In Italia è particolarmente vivo il dibattito sulle forme contemporanee del potere (bio-potere e bio-politica) da parte di filosofi come Esposito e Agamben. Questa cornice di riferimento può fare da sfondo ad un’analisi dei
dispositivi di potere anche all’interno delle organizzazioni, con particolare attenzione al fatto che il potere oggi si manifesta non nella sua veste di “costrizione” e di vincolo, ma anche – e soprattutto – come stimolo ad una valorizzazione illimitata delle risorse vitali.
Fonti:http://www.criticalmanagement.org/
Per una analisi critica della retorica connessa ai modelli manageriali e organizzativi mainstream si veda inoltre: G. Masino, Le imprese oltre il fordismo, Carocci, 2005 Masino è collaboratore ed allievo di Bruno Maggi.
Antifragility: Essere resilienti non basta. Bisogna inventare sistemi che dopo un trauma stanno anche meglio.
47. Il leader si impegna per il successo dell’impresa nel presente, ma investendo sull’intangibile migliora la qualità complessiva del sistema
L’open leader ha una visione di lungo periodo perciò investe sia su attività concrete che sull’intangibile, cioè sui quei beni (cognitivi, intellettivi, di pensiero, ecc.) in grado di accrescere la capacità competitiva ed il benessere. Perciò sa tenere insieme l’utile e l’inutile.
Ordine N., L’utilità dell’inutile, Bompiani, 2013
48. Open leadership significa sviluppare sistemi antifragili, ovvero in grado di migliorare a seguito di una crisi
Nassim Taleb il celeberrimo autore de Il cigno nero ci ha indicato che la realtà non è mai totalmente prevedibile e ci può essere un evento rarissimo (irrilevante se ragioniamo attraverso le distribuzioni gaussiane) in grado di
compromettere la stabilità di un sistema. La crisi del 2008 è un esempio significativo di un cigno nero. Lo stesso autore nel dicembre del 2012, ha pubblicato un volume del titolo Antifragility. Cosa sostiene? Che la resilienza non basta. Non basta ripristinare un sistema come era prima della crisi. Non basta nemmeno irrobustirsi, rinforzando i meccanismi di sicurezza.
Poiché prima o poi arriverà un trauma che farà saltare tutto. Allora i sistemi vanno progettati a monte come antifragili. Sono quelli che dopo una crisi stanno anche meglio. Sono quelli che hanno una capacità di reagire
intrinseca e sono in grado di ristrutturarsi di fronte agli imprevisti. Dice Taleb: ”Antifragile è chi desidera le deviazioni e non si preoccupa della possibili dispersioni di risultati che il futuro potrà portare, perché sa che saranno quasi tutti utili” ed ancora le aziende dovrebbero avere “un’inconfessata sete di accidentalità” (2012, p. 63)